LA
VERITA' NASCOSTA DEI LAGER ITALIANI.
La questione del confine orientale è molto
complessa. Il gruppo di Resistenza Storica si dedica da anni alla
ricerca e alla documentazione per contrastare il revisionismo che sta
mettendo le radici nutrendosi di vittimismo e retorica nazionalista.
Da vent’anni ormai si sta diffondendo il mito dei fascisti vittime
della violenza partigiana; questo meccanismo riprende in realtà la
storia che i regimi hanno voluto far passare come tale e la presenta
come verità rivelata. Il giorno del ricordo è diventata la data di
facciata in cui tutti si sentono autorizzati a sparare numeri e fatti
a caso, senza contestualizzare e documentare la storia. Per trattare
in modo corretto l’argomento in questione bisogna, come minimo,
partire dalla prima guerra mondiale ed è quello che è stato fatto
in modo chiaro e dettagliato da Alessandra Kersevan ieri sera
(16/04/2013) a Novara ad un’iniziativa organizzata
dall’osservatorio sulle nuove destre.
La prima guerra mondiale è stata
una guerra di conquista. La zona contesa era la “Venezia Giulia”
definita già dagli irredentisti “Italianissima”. In realtà
questo territorio era molto eterogeneo, abitato da famiglie italiane,
slovene e croate che convivevano senza rivendicazioni, anzi, spesso
avvenivano matrimoni tra etnie differenti. Nel dopoguerra era
cominciata l’occupazione e il tentativo di italianizzazione delle
etnie slave definito in seguito: fascismo di frontiera. Il primo
fatto rilevante è stato l’incendio della casa del popolo croata e
slovena (Narodni dom) di Trieste (Trst) avvenuto nel 1920 per mano
fascista. Dopo questa tutte le narodni dom della zona triestina
fecero la stessa fine. Gli slavi venivano considerati come “barbari”,
pregiudizio del tutto infondato, anche perché sotto il dominio
asburgico tutta la zona balcanica aveva attraversato un periodo di
grande rinascita culturale e artistica. L’obiettivo non era solo
colpire a livello materiale ed economico ma anche sul piano
psicologico e sentimentale. Tra tutte le misure di repressione
spiccava l’obbligo di parlare solo la lingua italiana che, dopo i
patti lateranensi del ’29, si era esteso anche alla sfera
liturgica. A seguito di queste imposizioni che distruggevano anche la
parte più intima degli individui, come la religione, quasi tutti i
componenti del clero erano diventati antifascisti; rimanevano affini
al regime le cariche più alte come il vescovo di Lubiana
(Ljubljana). “Noi squadristi, con metodi persuasivi, faremo
rispettare il presente ordine”: così si concludeva il documento
divulgato dal regime in cui si proibiva di parlare altre lingue al di
fuori dell’italiano. Veniva fondato anche l’ente delle tre
venezie con lo scopo di requisire le terre alle famiglie croate e
slovene per darle a contadini italiani. La reazione da parte del
popolo era di odio per il fascismo e per l’Italia, di conseguenza
era nato un forte movimento antifascista che trovava largo consenso.
Il governo non tardava ad aumentare le misure repressive che
comprendevano ergastoli e fucilazioni per sloveni, croati ma anche
italiani e che continuano anche dopo l’8 Settembre. La situazione
si aggravava con l’invasione della Jugoslavia da parte di Germania
e Italia. Il territorio balcanico era unito sotto un’unica
monarchia multietnica e una delle mire di Mussolini era la conquista
di quest’area. La strategia principale era stata attuata da molti
anni prima della guerra: cercare di creare divisioni interne tramite
gli ustascia. Questi, nazionalisti croati filofascisti, venivano
addestrati in Italia come terroristi per creare scompiglio nel regno
già tormentato da vari problemi. La Jugoslavia era stata invasa e
utilizzata come passaggio per raggiungere le truppe italiane che
stavano capitolando in Grecia. Il regno si era diviso in due fazioni:
l’una favorevole all’invasione o perlomeno neutrale, l’altra
contro i nazifascisti (la parte preponderante). Questa situazione
diventava così favorevole per le ossessioni di conquista di
Mussolini. La Jugoslavia veniva di seguito smembrata; territori come
la provincia di Ljubljana, la Dalmazia (Dalmacija), l’Istria
(Istra), la provincia di Fiume (Rijeka), l’Albania (Shqipëria) e
il Montenegro (Republika Crna Gora) erano annessi al regno italiano.
Il resto della Croazia (Hrvatska) diventava uno stato indipendente
governato dall’ustascia Ante
Pavelić sotto Aimone
di Savoia. Il nazionalismo croato era sfociato nella rivendicazione
della Dalmazia, questione che faceva nascere varie diatribe con i
fascisti italiani. Nel 1941 iniziava quindi la lotta di liberazione
in Venezia Giulia.
In seguito il generale Roatta,
sottocapo di stato maggiore, aveva pubblicato la circolare 3c, una
serie di misure repressive da applicare alla lettera “senza false
pietà” (cit.). Ljubljana nel giro di una notte veniva trasformata
in un lager a cielo aperto (interessante il paragone fatto con alcune
zone della Palestina al giorno d’oggi), un reticolato circondava
tutta la città e la divideva in 14 zone per facilitare i
rastrellamenti. Nel mese di Marzo del 1942 venivano istituiti i campi
di concentramento che avevano come primo scopo raccogliere tutti gli
uomini adulti arrestati durante i primi rastrellamenti. Internare
tutti gli uomini adulti significava eliminare qualsiasi tipo di
oppositore anche quelli potenziali non ancora attivi, inoltre con
questa mossa politica l’Italia poteva iniziare quel processo
definito Bonifica nazionale: distruggere la civiltà slava
strappandola dalla propria terra e dividendola in varie zone italiane
e viceversa popolare le zone invase con cittadini italiani; senza
contare la quantità enorme di villaggi messi al rogo. Dagli
avvenimenti è innegabile come il fascismo e il nazionalismo
coincidano necessariamente con il razzismo.
L’immagine ritrae soldati italiani che stanno
fucilando i resistenti, spesso viene usata erroneamente da comuni,
siti internet, trasmissioni TV per ricordare le foibe e i 5
condannati vengono fatti passare per gli “italiani uccisi perché
italiani”.Ovviamente non è una questione di opinioni divergenti,
semplicemente esistono delle documentazioni e delle fonti attendibili
che accertano la prima tesi, omettendo che è evidente che coloro che
hanno in mano il fucile sono militari.
Il primo grande campo di concentramento italiano
era stato istituito a Gonars, a sud di Udine, le morti imminenti che
venivano registrate erano per scarsa igiene, infatti il
sovraffollamento contribuiva a peggiorare le pessime condizioni che
erano imposte ai prigionieri. Altri campi erano stati messi in
funzione, come ad esempio quelli di Monigo di Treviso e Renicci
d’Anghiari; ce ne erano a centinaia, da quelli che contenevano
migliaia di persone ad altri un po’ più piccoli con centinaia o
decine di internati. Altri campi venivano messi in funzione nelle
piccole isole della Croazia e della Slovenia uno dei più emblematici
è stato quello di Arbe. Questi ultimi avevano un tasso di mortalità
ancora più elevato perché al posto delle baracche c’erano delle
tende militari già usate che non resistevano né al freddo né alla
pioggia. All’ordine del giorno vi erano le morti per fame che
causate non solo dal malfunzionamento dei campi, ma volute proprio da
chi li gestiva; il generale Gambara, dopo le proteste dei medici
militari, aveva dichiarato che un individuo malato ed affamato era un
individuo più facile da controllare. Ad Arbe erano internate le
donne che subivano la bonifica etnica le condizioni erano peggiorate
notevolmente a causa delle numerose alluvioni di conseguenza erano
state trasferite nel campo di concentramento di Gonars dove nel ’42
c’erano già 6500 persone. A testimonianza di questi fatti, negli
archivi storici si possono trovare svariate lettere passate alla
censura dove le internate descrivevano le condizioni in cui tentavano
di sopravvivere. I campi della zona slava venivano chiusi con il
governo Badoglio; ciò dimostra che sono stati crimini esclusivamente
fascisti senza il contributo dei nazisti. I soldati di guardia
fuggivano intimoriti dalla situazione che si stava creando, intanto i
partigiani aiutavano gli internati a fuggire e a tornare ai loro
villaggi. Molti campi in Italia invece continuavano a funzionare
anche col governo Badoglio infatti gli anarchici, i comunisti e gli
slavi venivano considerati anti-italiani e pericolosi,quindi per
questi la prigionia continuava. I crimini, dunque, non sono stati
solo fascisti, forse è per questo che in Italia si tende a
sotterrare la verità storica e a puntare il dito solo contro alcuni
“mostri”. A Gonars esiste un monumento di commemorazione per le
vittime dei crimini italiani e fascisti ma nessun politico si è mai
degnato di visitarlo come nessun governo ha mai ammesso le colpe e si
è scusato con la popolazione slava. Anzi, la giornata del ricordo
viene sottoposta a continui revisionismi e molti documenti vengono
censurati come il documentario “Fascist Legacy” prodotto dalla
BBC comprato e tradotto dalla Rai e mai mandato in onda da
quest’ultima. Per dimostrare quanto sia importante la
contestualizzazione e la documentazione al fine di una visione
obiettiva della storia, di seguito citiamo alcuni dei libri scritti
dal gruppo di resistenza storica di cui fa parte anche Alessandra
Kersevan.
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