lunedì 22 luglio 2013

RESOCONTO PROCESSI

22 LUGLIO 2013.RESOCONTO PROCESSI DI OGGI:
Oggi al tribunale di Novara si sono svolte due udienze nei confronti di alcuni
compagni.
-Per quello che riguarda tre compagni accusati di aver interrotto un presidio
di casa pound nel 2009, sono stati tutti assolti.
-Per quello che riguarda invece l'occupazione di una palazzina a Novara a
scopo abitativo da parte di alcuni compagni e di famiglie aventi bisogno di
alloggio, 8 imputati sono stati assolti per interruzione del procedimento in
seguito ad un errore nelle scartoffie giudiziare, per altri 9 invece il
processo va avanti e il Comune di Novara si è costituito parte civile. Il
rinvio è ad ottobre 2014.
Sempre più spesso ci troviamo a dover scrivere resoconti di processi che
provano a condannare e minare la lotta che si cerca di portare avanti in un
territorio come quello del novarese addormentato e indifferente a qualsiasi
cosa. La lotta al fascismo e occupare case che sono ancora oggi disabitate 

non ci sembra un qualcosa da condannare. 
NON SI PUO' FERMARE IL VENTO.

giovedì 6 giugno 2013

RESOCONTO PROCESSO DI OGGI

-Oggi al tribunale di Novara si è svolta l'udienza per quanto riguarda l'occupazione dei ponteggi della barriera Albertina come contestazione antifascista contro Forza Nuova e i rottami dell'RSI, fatto avvenuto il 31 ottobre 2009 e che vedeva imputati 14 compagni. L'udienza si è risolta con l'assoluzione dei compagni per quanto riguarda l'occupazione di suolo pubblico e di cori contro le forze del (dis)ordine, una multa e 6 giorni di condizionale per i due compagni che avevano materialmente occupato i ponteggi, e 4 mesi di condizionale più multa per altri compagni accusati di resistenza nei confronti di pubblico ufficiale.
Come al solito a prescindere dal risultato di questa giornata il punto fermo rimane sempre e comunque che nulla può fermare la lotta quotidiana ad ogni forma di fascismo. NON SI PUO' FERMARE IL VENTO.

giovedì 25 aprile 2013

Volantino diffuso al corteo del 25 aprile


L'antifascismo non si processa

Tra i mesi di Dicembre e Gennaio, ad una ventina di antifascisti sono stati consegnati degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari che si riferiscono al 25 Aprile 2010; già la data di questi presunti fatti fa capire quanto potesse essere “urgente e grave” il reato.
Il capo d’accusa recita le seguenti parole: “…perché partecipavano ad una radunata sediziosa, disobbedendo all’ingiunzione data dall’autorità di pubblica sicurezza, di ritirarsi”.
Ritrovarsi in piazza per commemorare il 25 Aprile non è reato!Neanche accodarsi al corteo ufficiale lo è!
Partecipare a quella manifestazione non significa che tutti debbano pensarla come il sindaco, quindi, se i nostri slogan erano differenti dall’allora giunta leghista, è solo un pregio di cui ci possiamo vantare. Il vero reato non è stato compiuto da noi ma da chi ha cercato di allontanarci, perché se il 25 Aprile è considerato “Festa della liberazione”, com’è possibile che nel 2013 ci si ritrova in una situazione tanto ridicola!?!
Si parla sempre di sicurezza e ordine, ma il vero caos lo creano le forze dell’ordine cercando sempre di dividerci e allontanarci per difendere i veri parassiti della società, tutti coloro che hanno potere politico ed economico.
Se portare delle bandiere, dare in omaggio fiori e poesie ai morti partigiani, distribuire volantini, cantare canzoni della resistenza e urlare le nostre idee al megafono crea disordine tanto da essere considerato reato e tanto da circondare e allontanare un gruppo di persone, allora avete sputato sulla storia e calpestato i veri ideali!
Questa mossa ha dimostrato la vera faccia dei governi e dello stato di polizia.
È stato condannato il VERO ANTIFASCISMO, quello che si porta avanti ogni giorno, una mentalità, un modo di pensare; il VERO ANTIFASCISMO che si incontra nelle piazze, che si vive nelle strade, non l’antifascismo di facciata che si rintana nelle sedi di partito per sbucare un giorno all’anno con due frasi fatte!
Bisogna opporsi a questa repressione gratuita! L’antifascismo non si processa e non si condanna!

martedì 23 aprile 2013

Resoconto serata


LA VERITA' NASCOSTA DEI LAGER ITALIANI.
La questione del confine orientale è molto complessa. Il gruppo di Resistenza Storica si dedica da anni alla ricerca e alla documentazione per contrastare il revisionismo che sta mettendo le radici nutrendosi di vittimismo e retorica nazionalista. Da vent’anni ormai si sta diffondendo il mito dei fascisti vittime della violenza partigiana; questo meccanismo riprende in realtà la storia che i regimi hanno voluto far passare come tale e la presenta come verità rivelata. Il giorno del ricordo è diventata la data di facciata in cui tutti si sentono autorizzati a sparare numeri e fatti a caso, senza contestualizzare e documentare la storia. Per trattare in modo corretto l’argomento in questione bisogna, come minimo, partire dalla prima guerra mondiale ed è quello che è stato fatto in modo chiaro e dettagliato da Alessandra Kersevan ieri sera (16/04/2013) a Novara ad un’iniziativa organizzata dall’osservatorio sulle nuove destre.
La prima guerra mondiale è stata una guerra di conquista. La zona contesa era la “Venezia Giulia” definita già dagli irredentisti “Italianissima”. In realtà questo territorio era molto eterogeneo, abitato da famiglie italiane, slovene e croate che convivevano senza rivendicazioni, anzi, spesso avvenivano matrimoni tra etnie differenti. Nel dopoguerra era cominciata l’occupazione e il tentativo di italianizzazione delle etnie slave definito in seguito: fascismo di frontiera. Il primo fatto rilevante è stato l’incendio della casa del popolo croata e slovena (Narodni dom) di Trieste (Trst) avvenuto nel 1920 per mano fascista. Dopo questa tutte le narodni dom della zona triestina fecero la stessa fine. Gli slavi venivano considerati come “barbari”, pregiudizio del tutto infondato, anche perché sotto il dominio asburgico tutta la zona balcanica aveva attraversato un periodo di grande rinascita culturale e artistica. L’obiettivo non era solo colpire a livello materiale ed economico ma anche sul piano psicologico e sentimentale. Tra tutte le misure di repressione spiccava l’obbligo di parlare solo la lingua italiana che, dopo i patti lateranensi del ’29, si era esteso anche alla sfera liturgica. A seguito di queste imposizioni che distruggevano anche la parte più intima degli individui, come la religione, quasi tutti i componenti del clero erano diventati antifascisti; rimanevano affini al regime le cariche più alte come il vescovo di Lubiana (Ljubljana). “Noi squadristi, con metodi persuasivi, faremo rispettare il presente ordine”: così si concludeva il documento divulgato dal regime in cui si proibiva di parlare altre lingue al di fuori dell’italiano. Veniva fondato anche l’ente delle tre venezie con lo scopo di requisire le terre alle famiglie croate e slovene per darle a contadini italiani. La reazione da parte del popolo era di odio per il fascismo e per l’Italia, di conseguenza era nato un forte movimento antifascista che trovava largo consenso. Il governo non tardava ad aumentare le misure repressive che comprendevano ergastoli e fucilazioni per sloveni, croati ma anche italiani e che continuano anche dopo l’8 Settembre. La situazione si aggravava con l’invasione della Jugoslavia da parte di Germania e Italia. Il territorio balcanico era unito sotto un’unica monarchia multietnica e una delle mire di Mussolini era la conquista di quest’area. La strategia principale era stata attuata da molti anni prima della guerra: cercare di creare divisioni interne tramite gli ustascia. Questi, nazionalisti croati filofascisti, venivano addestrati in Italia come terroristi per creare scompiglio nel regno già tormentato da vari problemi. La Jugoslavia era stata invasa e utilizzata come passaggio per raggiungere le truppe italiane che stavano capitolando in Grecia. Il regno si era diviso in due fazioni: l’una favorevole all’invasione o perlomeno neutrale, l’altra contro i nazifascisti (la parte preponderante). Questa situazione diventava così favorevole per le ossessioni di conquista di Mussolini. La Jugoslavia veniva di seguito smembrata; territori come la provincia di Ljubljana, la Dalmazia (Dalmacija), l’Istria (Istra), la provincia di Fiume (Rijeka), l’Albania (Shqipëria) e il Montenegro (Republika Crna Gora) erano annessi al regno italiano. Il resto della Croazia (Hrvatska) diventava uno stato indipendente governato dall’ustascia Ante Pavelić sotto Aimone di Savoia. Il nazionalismo croato era sfociato nella rivendicazione della Dalmazia, questione che faceva nascere varie diatribe con i fascisti italiani. Nel 1941 iniziava quindi la lotta di liberazione in Venezia Giulia.
In seguito il generale Roatta, sottocapo di stato maggiore, aveva pubblicato la circolare 3c, una serie di misure repressive da applicare alla lettera “senza false pietà” (cit.). Ljubljana nel giro di una notte veniva trasformata in un lager a cielo aperto (interessante il paragone fatto con alcune zone della Palestina al giorno d’oggi), un reticolato circondava tutta la città e la divideva in 14 zone per facilitare i rastrellamenti. Nel mese di Marzo del 1942 venivano istituiti i campi di concentramento che avevano come primo scopo raccogliere tutti gli uomini adulti arrestati durante i primi rastrellamenti. Internare tutti gli uomini adulti significava eliminare qualsiasi tipo di oppositore anche quelli potenziali non ancora attivi, inoltre con questa mossa politica l’Italia poteva iniziare quel processo definito Bonifica nazionale: distruggere la civiltà slava strappandola dalla propria terra e dividendola in varie zone italiane e viceversa popolare le zone invase con cittadini italiani; senza contare la quantità enorme di villaggi messi al rogo. Dagli avvenimenti è innegabile come il fascismo e il nazionalismo coincidano necessariamente con il razzismo.

L’immagine ritrae soldati italiani che stanno fucilando i resistenti, spesso viene usata erroneamente da comuni, siti internet, trasmissioni TV per ricordare le foibe e i 5 condannati vengono fatti passare per gli “italiani uccisi perché italiani”.Ovviamente non è una questione di opinioni divergenti, semplicemente esistono delle documentazioni e delle fonti attendibili che accertano la prima tesi, omettendo che è evidente che coloro che hanno in mano il fucile sono militari.

Il primo grande campo di concentramento italiano era stato istituito a Gonars, a sud di Udine, le morti imminenti che venivano registrate erano per scarsa igiene, infatti il sovraffollamento contribuiva a peggiorare le pessime condizioni che erano imposte ai prigionieri. Altri campi erano stati messi in funzione, come ad esempio quelli di Monigo di Treviso e Renicci d’Anghiari; ce ne erano a centinaia, da quelli che contenevano migliaia di persone ad altri un po’ più piccoli con centinaia o decine di internati. Altri campi venivano messi in funzione nelle piccole isole della Croazia e della Slovenia uno dei più emblematici è stato quello di Arbe. Questi ultimi avevano un tasso di mortalità ancora più elevato perché al posto delle baracche c’erano delle tende militari già usate che non resistevano né al freddo né alla pioggia. All’ordine del giorno vi erano le morti per fame che causate non solo dal malfunzionamento dei campi, ma volute proprio da chi li gestiva; il generale Gambara, dopo le proteste dei medici militari, aveva dichiarato che un individuo malato ed affamato era un individuo più facile da controllare. Ad Arbe erano internate le donne che subivano la bonifica etnica le condizioni erano peggiorate notevolmente a causa delle numerose alluvioni di conseguenza erano state trasferite nel campo di concentramento di Gonars dove nel ’42 c’erano già 6500 persone. A testimonianza di questi fatti, negli archivi storici si possono trovare svariate lettere passate alla censura dove le internate descrivevano le condizioni in cui tentavano di sopravvivere. I campi della zona slava venivano chiusi con il governo Badoglio; ciò dimostra che sono stati crimini esclusivamente fascisti senza il contributo dei nazisti. I soldati di guardia fuggivano intimoriti dalla situazione che si stava creando, intanto i partigiani aiutavano gli internati a fuggire e a tornare ai loro villaggi. Molti campi in Italia invece continuavano a funzionare anche col governo Badoglio infatti gli anarchici, i comunisti e gli slavi venivano considerati anti-italiani e pericolosi,quindi per questi la prigionia continuava. I crimini, dunque, non sono stati solo fascisti, forse è per questo che in Italia si tende a sotterrare la verità storica e a puntare il dito solo contro alcuni “mostri”. A Gonars esiste un monumento di commemorazione per le vittime dei crimini italiani e fascisti ma nessun politico si è mai degnato di visitarlo come nessun governo ha mai ammesso le colpe e si è scusato con la popolazione slava. Anzi, la giornata del ricordo viene sottoposta a continui revisionismi e molti documenti vengono censurati come il documentario “Fascist Legacy” prodotto dalla BBC comprato e tradotto dalla Rai e mai mandato in onda da quest’ultima. Per dimostrare quanto sia importante la contestualizzazione e la documentazione al fine di una visione obiettiva della storia, di seguito citiamo alcuni dei libri scritti dal gruppo di resistenza storica di cui fa parte anche Alessandra Kersevan.




martedì 12 marzo 2013

Scorie. Il treno fa marcia indietro

Lunedì 11/martedì 12 marzo. Era tutto pronto. Le barre con le scorie, trasportate su gomma dal deposito Sogin di Saluggia allo stabilimento di logistica Sifte Berti nella notte tra il 10 e l’11 marzo, erano state caricate sul Castor sin dalle prime ore del mattino. Il treno, presidiato dalla polizia, è rimasto sui binari del piazzale sino a poco prima di mezzanotte. Intorno a quell’ora i cancelli si sono aperti e il convoglio – due treni civetta e quello con le scorie – fa qualche centinaio di metri ed arriva alla stazione di Vercelli. L’apparato è quello delle altre volte: centinaia di carabinieri, finanzieri e poliziotti in assetto antisommossa, i vigili del fuoco, la digos.
Di solito il treno parte subito per Novara.
Invece no. Il treno e l’intero apparato di polizia che lo accompagna lungo tutta la tratta restano congelati ai blocchi di partenza. Passaggi a livello presidiati, stazioni militarizzate, ponti messi sotto sorveglianza.
Nel pomeriggio la prefettura di Torino, cedendo alle pressioni dei No Nuke, per la prima volta comunica al sindaco di Avigliana che il treno è previsto per questa notte. I media diffondono la notizia della grande giornata di lotta contro il nucleare svoltasi in Francia in occasione del secondo anniversario del disastro di Fukushima. La rete “Sortir du nucleaire” annuncia che il passaggio del treno verrà contrastato sia in Francia che in Italia.
Passano i minuti, passano le ore ma il treno è sempre sui binari. Si rincorrono le voci, ma nessuno capisce cosa stia capitando. A Novara, Asti, Avigliana aspettano il treno tanti antinuclearisti.
Intorno alle due e mezza l’apparato di polizia ad Asti e ad Avigliana si liquefa.
A Vercelli il treno si mette in moto. E torna indietro nel piazzale da cui si era mosso oltre due ore e mezza prima.
Ad Avigliana i No Nuke fanno una breve assemblea, che commenta il buon risultato della lotta: per la prima volta il treno, già pronto alla partenza, è stato fatto tornare indietro, nonostante la complessa macchina di polizia che lo accompagna, fosse stata ormai avviata.
Il quinto trasporto nucleare è stato rimandato. A quando è difficile dirlo: forse domani, forse tra una settimana o un mese. Un fatto è certo: questa notte è tornato indietro, la lotta contro questi trasporti inutili e pericolosi ha fatto un passo avanti.
L’invito per tutti è di restare sintonizzati sulle libere frequenze di radio Blackout105,250 FMtenere i telefoni accesi e gli scarponi pronti.

estratto da: anarresinfo.noblogs.org