In questi ultimi due giorni si è avuto un piccolo esempio di cosa
potrebbe voler dire aprire cantieri Tav nella cittadina di Susa.
Lunedì notte uno spiegamento spropositato di forze dell’ordine ha accompagnato tre trivelle in zona autoporto di Susa.
La statale 24 chiusa per un lungo tratto, idem l’autofrejus in
carreggiata di discesa. Per tutto il giorno il traffico impazzito si
riversava dentro Susa e Bussoleno creando disagi notevoli a cittadini e
lavoratori. Blindati e new jersy in mezzo alla strada con cordoni di
polizia e carabinieri a bloccare la normale viabilità. Chissà cosa
avranno pensato i sindaci dell’alta valle, con alle porte la stagione
sciistica, nel vedere gli uomini in divisa chiudere le strade che
portanto alle montagna olimpiche….
Nel tardo pomeriggio di ieri la risposta dei valsisini è stata come sempre importante.
Prima il corteo di 400 persone che è arrivato a ridosso delle trivelle
eludendo i blocchi, e poi, dalle 22 in avanti, il blocco totale della
A32 fino a notte fonda, obbligando così le forze dell’ordine a ritardare
notevolmente il cambio notturno passando dal Sestriere.
Questa sera, invece, dalle 19 in avanti, dopo una semplice battitura ai
new jersy, hanno pensato bene di scaricare una quantità impressionante
di lacrimogeni tra statale 25 e autostrada, con i gas che arrivavano nei
cortili e nelle case. Ancora un’ ora fa l’area di San Giuliano era
avvolta da una fitta nebbia velenosa che stava mettendo in serio
pericolo gli automobilisti, gli autisti dei tir, gli abitanti della
borgata e i manifestanti che, comunuque, continuavano a resistere
determinati
Constatiamo ormai con chiarezza che per lo stato italiano la Valle di
Susa è considerata un territorio straniero da occupare e militarizzare
con ogni mezzo necessario.
In Afghanistan si “importa” la democrazia a suon di armi e in Valle si importano le “Grandi opere” sempre a suon di armi.
Alle esigenze e al sentire delle popolazioni locali si risponde con la violenza dei militari e dei loro mezzi da guerra.
Ma la storia insegna che i popoli sotto colonizzazione si sono stretti
tra loro cementificando i loro legami per poi sviluppare quel sano
anticorpo chiamato resistenza diffusa.
Resistere è la parola che unisce, e quelle resistenze sono durate fino a
che l’invasore, stanco e demotivato, ha tolto il disturbo.
In Valle di Susa più passano gli anni e più quell’idea di resistenza si
propaga: dai bambini ai giovani studenti fino ad arrivare agli anziani.
Un intera popolazione che da venti anni difende con le unghie e con i
denti la propria terra e il proprio futuro.
Sappiamo che è dura, ma sappiamo anche come andrà a finire.
Indietro non si torna
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